LE RELIGIONI AL SERVIZIO DELL’ESSERE UMANO

Traduzione: Mirko Colleoni

Ci siamo riuniti per l’essere umano – L’essere umano nelle sue necessità e competenze Martedì ۱۹ febbraio 1975

“La grandiosità del digiuno”, sermone pronunciato dall’Imam nella cattedrale latina di S. Luis per i padri cappuccini a Beirut, in data 18 febbraio 1975, dietro invito dell’Arcivescovo Bāsīm, in una serie di lezioni sulla quaresima.

Iddio, ti lodiamo e ringraziamo, Signore nostro (rabbanā), Dio (’Ilāh) di Abramo e Ismaele, Dio di Mosè, di Gesù e di Muḥammad, Signore degli oppressi (rabb al-mustaḍ‘afīna) e di tutto il creato (al-ẖalq).

La lode appartiene a Dio, Colui che dona sicurezza a chi è intimorito, che salva coloro che operano il bene, che eleva gli oppressi, che umilia gli arroganti, che distrugge sovrani e che ne nomina altri Propri vicari. La lode appartiene a Dio, che spezza la schiena dei tiranni (Qāṣim al-ǧabbārīna), che annienta gli oppressori (Mubīr aẓ ẓālimīna), che raggiunge coloro che tentano di sfuggirGli (Mudrik al-hāribīna), che punisce severamente coloro che travalicano i limiti da Lui stabiliti (Nakkāl aṭ-ṭāġīna), che soccorre coloro che chiedono aiuto (Ṣarīẖ al-mustaṣraẖīna).

Ti lodiamo, Dio, Signore nostro, per averci concesso la Tua attenzione, per averci riuniti nella Tua guida e per avere unito i nostri cuori con il Tuo Amore e la Tua Misericordia. Eccoci qui, riuniti tra le Tue Mani in uno dei tuoi templi, durante il digiuno in Tuo Nome. I nostri cuori sono colmi di passione per Te, le nostre menti traggono da Te la luce e la guida, in virtù del fatto che ci hai invitato a camminare fianco a fianco, al servizio di ciò che hai creato, e a incontrarci con una parola comune, con il fine della felicità del Tuo vicario (ẖalīfa) sulla Terra. Per questo, siamo venuti alla Tua porta e abbiamo pregato dinnanzi al Tuo santuario.

Ci siamo riuniti per l’essere umano, in favore del quale giunsero le religioni (al-’adyān). In quel tempo esse erano una sola e si reputavano vicendevolmente [vere] così come si annunciavano vicendevolmente la buona novella. Per mezzo loro, Iddio fece uscire gli esseri umani dalle tenebre alla luce, dopo averli salvati – sempre per mezzo di esse – dalle molte divergenze di opinione che conducono all’annientamento e alle divisioni, insegnando loro la condotta [da seguire] lungo la via della pace.

Le religioni erano una sola, giacché erano al servizio del fine unico di chiamare a Dio e servire l’essere umano: due aspetti di una sola verità. Fu in seguito che si volsero al servizio di esse stesse e che, dopo ancora, il loro interesse autoreferenziale si ingigantì fino al punto in cui dimenticarono il loro fine: e fu così che la divergenza tra loro si fece imponente e si inasprì, aumentando la tribolazione dell’essere umano e le sue sofferenze.

Le religioni erano una e al servizio di un fine unico: muovere guerra ai [falsi] dei della Terra (’ālihat al-’Arḍ) e ai tiranni (aṭ-ṭuġāh) e sostenere gli oppressi e I perseguitati (al-muḍṭahadīna), essi stessi due facce di una sola verità. E quando le religioni prevalsero, e con loro gli oppressi, questi ultimi videro che gli oppressori si erano cambiati d’abito e li avevano preceduti nelle conquiste, iniziando a governare in nome delle religioni, brandendone la spada. Si giunse, così, all’immensa messa alla prova (miḥna) per i perseguitati, che fu anche la messa alla prova delle religioni e delle controversie tra di esse. E non vi è controversia che non trovi la sua ragione d’essere negli interessi degli sfruttatori.

Le religioni erano una sola, perché la genesi – Iddio – è una, e il fine – l’essere umano – è uno e il percorso – questo creato – è [anch’esso] uno. Quando abbiamo dimenticato il fine e ci siamo allontanati dal servire l’essere umano, abbiamo dimenticato Iddio ed ecco che Lui si è allontanato da noi. Ci siamo divisi in gruppi (firaq) e il male è stato gettato tra di noi. Così, ci siamo trovati in disaccordo, frammentando l’unico creato, servendo interessi particolaristici, adorando divinità diverse da Dio. E abbiamo logorato l’essere umano, che è finito con il lacerarsi.

Ritorniamo alla Via, ora. Ritorniamo all’essere umano, perché Iddio stesso ritorni a noi. Ritorniamo all’essere umano afflitto dal tormento, affinché ci possiamo salvare dal tormento (al-‘aḏāb) divino. Troviamo il nostro punto d’incontro nell’essere umano oppresso, logorato e lacerato, affinché possiamo incontrarci in ogni cosa e incontrarci in Dio, di modo che le religioni siano una.

“[…] A ognuno di voi abbiamo assegnato una Legge e una via, mentre, se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una Comunità Unica, ma ciò non ha fatto per provarvi in quel che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone, ché a Dio tutti tornerete […]”.[۱]

In quest’ora, in chiesa, nei giorni della quaresima e durante un sermone (maw‘iẓa) religioso, dietro invito dei responsabili impegnati, mi trovo, nel mezzo del cammino, al vostro fianco. Mi trovo [al tempo stesso] ammonitore e ammonito, oratore e uditore, a parlare per mezzo della mia lingua e ad udire con la mia anima. La Storia ci è testimone, così che ascoltiamo e, poi, le siamo a nostra volta testimoni. Essa registra ciò che diciamo. La Storia è testimone del Libano, il paese dell’incontro, dell’essere umano, patria dei perseguitati e rifugio sicuro per gli impauriti. In questo clima e in quest’orizzonte elevato, essendoci avvicinati alle sorgenti, possiamo udire gli appelli celesti originari.

Ecco il Signore (as-Sayyid)[۲], gloria a Lui, che grida adirato, nel Suo amore: “No! L’amore per Dio e l’avversione per l’essere umano non si uniscono!”. La Sua voce rimbomba nelle coscienze e, così, se ne leva un’altra, quella del Profeta della Misericordia divina [il profeta Muḥammad]: “Colui che passa la notte sazio, mentre il suo vicino patisce la fame, non ha fede in Dio e nel dì del Giudizio”.[۳]

Le due voci interagiscono attraverso il tempo e, per mezzo dell’eco, essa[۴] si leva per bocca del Sommo Pontefice e anche in occasione del digiuno. Egli dice: “Invero, il Messia e il povero sono una persona sola”. Anzi, [Paolo VI] nella sua famosa enciclica “Il progresso dei popoli”[۵], si adira per la dignità (karāma) dell’essere umano e dice, come fece il Messia al Tempio [di Gerusalemme]: “Immensa fu l’esperienza di respingere con la violenza simili umiliazioni della dignità umana”. E, ancora: “La più bassa forma di umanità è rappresentata dai regimi tirannici, i quali scaturiscono dall’abuso del diritto di proprietà del potere (as-sulṭān), dal risucchio dei diritti dei lavoratori e dalla lesione delle convenzioni [che li definiscono].

Questa voce pura è forse in disaccordo con ciò che, fermo nel suo obiettivo, ci è pervenuto dalla tradizione canonica islamica (al-’aṯar al-islamiyy)? “Io, Iddio, sono presso coloro i cui cuori sono infranti. Ero presso l’ammalato, quando lo visitai per curarlo, presso il povero, quando lo aiutai, e con il bisognoso, quando mi adoperai per soddisfare le sue necessità”.

Quanto al mezzo, ogni opera volta a ristabilire il diritto (’iqāmat al-ḥaqq) e ogni sforzo teso a sostenere gli oppressi è stato recepito [dalla tradizione sapienziale islamica] come un ǧihād lungo la Sua Via (fī sabīlihi) e una preghiera nel Suo santuario, Lui che è il Garante della vittoria (al-Kafīl bi-n-naṣr).

Per mezzo di queste testimonianze, facciamo ritorno al nostro essere umano, per indagare quali siano le forze che lo umiliano e che causano divisioni tra lui e i suoi simili. L’essere umano, questo lascito divino, questa creatura creata, negli attributi, ad immagine del Creatore (ẖuliqa ‘alā Ṣūrat Ḫāliqihi fī ṣ-ṣifāt), vicario di Dio sulla Terra (ẖalīfat Allāh fī l-’Arḍ). L’essere umano, fondamento dell’esistenza, principio e fine ultimo della società, motore della Storia. Questo essere umano equivale all’unione delle sue energie, non quando si incontrano in lui la filosofia e la fisica come in questo nostro secolo di scambio e trasformazione tra la materia – qualsiasi essa sia – e l’energia, ma piuttosto quando le religioni e le esperienze sapienziali gli confermano “che […] non avrà di suo che il suo sforzo”[۶],  che le opere durano in eterno mentre lui, l’essere umano, eccezion fatta per (la sua capacità di) ampliare i propri orizzonti, non vale niente. Perciò, quanto più preserviamo e facciamo crescere le energie dell’essere umano, tanto più lo nobilitiamo (karramnāhu) e lo rendiamo eterno.

Quando, nella sua dimensione celeste, la fede (al-’īmān)[۷]  dà all’essere umano infinitezza nei sentimenti ed elevatezza nei propositi, preservando in lui la speranza perenne quando egli non nutre più speranza alcuna, essa fa sì che ogni sua preoccupazione cessi, mettendo ordine, da una lato, tra lui e i suoi simili e, dall’altro, tra lui e tutte le creature… Se, in questa sua dimensione, la fede dà all’essere umano tale grandezza e tale bellezza, certamente essa stessa si adopera – nell’altra sua dimensione – in direzione della protezione e della salvaguardia dell’essere umano, imponendo di proteggerlo e affermando che non vi è fede senza l’impegno al servizio dell’essere umano.

Tutte le energie dell’essere umano, così come le energie di tutti gli esseri umani, devono essere preservate e sviluppate. A tal fine, vediamo come il principio del completamento sia in vigore dai giorni dei primi Messaggi sino a questo messaggio benedetto, proveniente dal Santo Padre, laddove si legge: “Affinché il progresso sia autentico, è necessario che sia completo, cioè che rettifichi ogni essere umano e così l’essere umano nella sua interezza. Perciò, per esempio, vediamo pure che nonostante che sia stato proibito il furto di ciò che viene lasciato in eredità – essendo una usurpazione delle energie dell’essere umano e di quanto prodotto da queste ultime –, oggi assistiamo alla sua comparsa nella forma dell’investimento e del monopolio: con la scusa del progresso industriale – oppure attraverso i bisogni artificiosi imposti all’essere umano dai mezzi di produzione – egli viene indotto ad un falso desiderio, venendo così costretto ad un ulteriore consumo. Ciò perché i bisogni non sgorgano, oggi, dall’essenza dell’essere umano (ḏāt al-insān), ma sono solamente fabbricati dai mezzi di comunicazione, essi stessi subalterni a quelli di produzione.

Ogni giorno, in questo modo, i mezzi di comunicazione impongono all’essere umano un nuovo bisogno o un ulteriore incremento a un nuovo bisogno, ed egli esaurisce così tutte le proprie energie e ne trasferisce la maggior parte [altrove], senza avere la possibilità di spenderle lungo la strada che egli [realmente] vorrebbe percorrere. In tal modo, inoltre, osserviamo un profondo sviluppo nelle diverse forze che bloccano le energie dell’essere umano e, successivamente, le annientano o le disperdono. Queste forze permangono nelle loro fondamenta, nonostante la diversità delle loro forme e la frequenza con cui evolvono.

La religione ha combattuto, per esempio, la menzogna e l’ipocrisia (al-kaḏib wa-n-nifāq). Ha combattuto anche la presunzione e la superbia (al-ġurūr wa-l-kibriyā’) e, quando ne osserviamo con attenzione l’origine, vediamo quanto queste caratteristiche [la menzogna e l’ipocrisia] abbiano effetto sulle energie del singolo e della comunità: la menzogna falsifica le verità e le energie predisposte per lo scambio tra gli esseri umani – quelle con cui l’essere umano, liberandole e ottenendone qualcosa in cambio, progredisce. La menzogna falsifica queste energie – che divengono così ignorate e pervertite – conducendo all’alterazione degli scambi tra gli uomini e alla neutralizzazione delle stesse energie. Quanto alla presunzione e alla superbia, esse paralizzano l’essere umano perché, a causa loro, egli sente di essere giunto all’autosufficienza. Il superbo si rifiuta di ricevere, rifiutando di fatto l’integrazione reciproca. Conseguentemente, anche gli altri si rifiutano di ricevere da lui o di integrarsi reciprocamente con lui. Non si riceve e non si dà: è la morte delle energie, delle energie dell’essere umano. E ciò vale anche per le caratteristiche che seguono immediatamente la menzogna e la superbia.

La libertà determina, in compenso, il clima adatto affinché le energie dell’essere umano progrediscano e le sue qualità innate emergano quando ve n’è opportunità. Con svariati pretesti, la libertà veniva sempre messa sotto attacco o usurpata da parte degli altri. E poiché essa rappresenta il clima adatto per sviluppare le competenze, le energie e i talenti dell’essere umano – come se essa ne fosse l’origine (’umm) stessa –, quest’usurpazione condusse a battaglie e a uno scontro amaro.

Quando l’uomo viene derubato della sua libertà, le energie del singolo e della comunità si piegano alle misure della libertà imposta dall’usurpatore, per cui l’individuo e, conseguentemente, la comunità, divengono insignificantemente piccoli. Quando l’essere umano rifiuta questa riduzione [della sua libertà] e tenta di porre un freno a questa forza separatrice e distruttiva – e noi con lui, come richiesto dalla nostra fede –, in realtà difende solamente – e noi con lui – le sue energie e la sua dignità, qualunque sia l’aspetto assunto, nel corso del tempo, da questa riduzione della libertà.

Dalla tirannia al colonialismo, dal feudalesimo al terrorismo intellettuale e all’ipocrisia di voler suggerire alle persone [cosa fare] per accusarle, poi, di non comprendere. Dal nuovo colonialism all’imposizione di determinate condizioni agli individui e ai popoli, per mezzo di pressioni economiche, culturali o ideologiche. Dalla politica della negligenza e dell’allontamento [di gruppi di] esseri umani e [intere] zone del paese dalle opportunità, a quella dell’accusa di ignoranza, sino al precludere loro il diritto alla salute e le possibilità di movimento e di sviluppo…: sono tutte immagini e forme del furto delle libertà e della frantumazione delle energie dell’essere umano.

E il denaro – questo grandissimo idolo (ṣanam) –, che il Messia considerava un ostacolo all’ingresso al Regno dei cieli maggiore di quello del passaggio del dromedario dalla cruna dell’ago. Questo, il denaro, è fattore di discordia (fitna): quando viene tenuto nel [giusto] limite e nella [giusta] misura, è una grazia e misericordia (raḥma), ma quando diviene il fine, finisce con l’essere adorato invece di Dio e diviene il Sancta Sanctorum dell’essere umano, che per esso si muove e attorno ad esso orbita. Questo, il denaro, iniziò a crescere a scapito delle altre necessità dell’individuo e della comunità, divenendo una forza distruttiva o separatrice quando la sua profonda influenza nella vita delle persone glielo rese possibile. È così che il pesce grande [finisce con l’] ingoiare quello piccolo.

Lo stesso vale per tutte le necessità umane, quando crescono a scapito di altre. Sono quelle che chiamiamo “le brame” (al-šahawāt): ogni bisogno è un incentive e un movente, anzi, è carburante perché l’essere umano si muova nella sua vita, ma quando nell’uomo questo bisogno cresce a scapito di altri, rappresenta una tragedia. Questa è la ragione della grandissima responsabilità che deriva dal potere, dal denaro, dal prestigio, dal potere di influenzare [gli altri], e da tutte le altre capacità umane.

La verità è che l’allontanamento della fede – la quale fa del legame tra Dio e l’essere umano una presenza senza soluzione di continuità (fī ḥuḍūr dā’im) – dal suo ruolo di fondamento della civiltà moderna ha esposto quest’ultima a tale rottura dell’equilibrio. Quando passiamo in rassegna la storia di questa civiltà, percepiamo che l’essere umano che l’ha vissuta ha iniziato a crescere, in questo o in quell periodo storico, in direzione dell’allontanamento dalla fede. Così le necessità della politica, dell’amministrazione, del mercato, e dello sviluppo, non essendo fondate sulla fede stessa (ġayr mabniyya ‘alā l-qā‘ida al-’īmāniyya) –, che le avrebbe organizzate e poste al servizio di tutti, senza né distruggere né dividere – iniziarono a crescere in momenti storici diversi, trasformandosi nel colonialismo, nelle guerre, nella ricerca ossessiva di nuovi mercati e nell’epoca della pace armata. E tra guerre “calde” e “fredde”, tra la medicazione delle ferite e la pace armata, questa necessità ha afflitto la vita dell’intera umanità.

Così come quando l’amor proprio (ḥubb aḏ-ḏāt) – carburante della perfezione e ciò che realizza l’ambizione per l’essere umano –, elemento positivo che può essere al servizio dell’essere umano, cresce nell’individuo sino a divenire adorazione e schiavitù nei confronti dell’ego (‘ibādat aḏ-ḏāt). Qui, iniziano i problemi: gli scontri e la discriminazione razziale, l’umiliazione dell’Altro, l’amara lotta dale più piccole cellule della società su sino alla comunità internazionale, è una lotta i cui anelli concentrici hanno un solo centro, un solo asse di rotazione.

Questo scontro, che è stato rappresentato come un elemento basilare della Creazione è, invece, esito della crescita dell’amor proprio e della sua successiva trasformazione in adorazione e schiavitù nei confronti dell’ego. Lo stesso avviene a livello della comunità, costituitasi al servizio dell’essere umano, il quale, essendo caratterizzato da una realtà bidimensionale – individuale e collettiva, per l’appunto – ha un innato senso di appartenenza ad essa: quando l’egoismo si trasferisce dal livello individuale a quello comunitario diviene, nella società, una forma di egoismo ancora più vasta e il problema ricade in svariati ambiti, passando dalle forme di egoismo individuale a quelle familiari, a quelle tribali prevaricatrici – divenute regimi portatori di ulteriori conseguenze – e al settarismo (aṭ-ṭā’ifiyya), che per via del suo egoismo, ha trasformato il cielo in terra, svuotando la religione e le diverse scuole giuridiche islamiche (maḏhab) del loro contenuto: sublimità, indulgenza, vincolo e tolleranza. E da questo settarismo – che ha mercanteggiato i valori religiosi, chiedendone un prezzo sproporzionato – [si è giunti] al patriottismo egoistico (al-waṭaniyya al-’anāniyya) . Anche il patriottismo, infatti, nonostante che sia la più nobile delle cose, quando si trasforma in patriottismo razzistico fa sì che l’uomo serva e adori la sua patria invece di Dio, permettendosi di edificare la gloria della propria patria sulle macerie di quelle altrui, di costruire la sua civiltà sulla distruzione delle altre e di elevare il suo popolo impoverendo gli altri. E, ancora, da qui al nazionalismo etnico nazista (al-qawmiyya an-nāziyya) che ha incendiato il mondo più di una volta.

Questi sono egoismi su vasta scala, che abbiamo adorato e che si sono trasformati, così, in catene e in distruzione. L’amor proprio e il comportamento virtuoso verso la propria famiglia, l’amore per la tribù di appartenenza, per la propria terra natìa (waṭan) e per l’appartenenza ad un dato gruppo etnico (qawm) sono, invece, quando rimangono entro i loro giusti limiti, inclinazioni umane e al tempo stesso benevole nella vita dell’essere umano. Allora, ecco che possiamo far luce sul titolo scelto per questo intervento: “L’essere umano nelle sue necessità e nelle sue capacità”.

La società che accoglie l’essere umano deve essere armonica nel suo insieme, così come l’individuo deve essere, come individuo, in armonia con essa. Questo perché, ogni volta che alcune necessità dell’essere umano crescono a scapito delle altre, accadono eventi funesti. Così accade ogni volta che l’individuo o i suoi bisogni crescono a scapito degli altri individui o quando un gruppo o i suoi bisogni crescono a scapito di altri. Invece, l’equilibrio – a cui si giunge con la sensibilità – fa giungere l’essere umano ad un punto in cui egli sente la sofferenza degli altri come propria: è proprio a questo che invita il digiuno. Questo equilibrio è garanzia di una crescita sana e armonica tanto dell’individuo quanto della collettività.

Il Libano è il nostro paese, il cui primo e ultimo patrimonio sono gli esseri umani, che ne hanno scritto la gloria con i loro sforzi, le loro migrazioni, il loro pensiero e le loro iniziative. Sono loro che vanno preservati in questo nostro paese. Così, se altri paesi possiedono della ricchezza oltre a quella rappresentata dagli esseri umani, in Libano la nostra ricchezza prima e ultima è data proprio da loro. Per questo, i nostri sforzi in Libano si dirigono verso queste opportunità e partono dai luoghi di culto, così come dalle università e dalle istituzioni, in direzione della salvaguardia del paese, [obiettivo che si realizza attraverso] la salvaguardia dei suoi esseri umani, che vivono nelle sue diverse regioni e sono dotati di capacità diverse tra loro.

Perciò, se vogliamo proteggere il Libano e mettere in pratica il nostro spirito patriottico e il nostro sentimento religioso attraverso i principi che sinora sono stati esposti, dobbiamo proteggere tutto il suo patrimonio umano e le sue energie, senza alcuna esclusione.

Vivendo in questo Libano, osserviamo quotidianamente le privazioni di cui sono tutti responsabili e che scopriamo essere il risultato di una mala condotta. E la violenza per la causa dell’essere umano – così come abbiamo udito nella Parola benedetta[۸]  – è consentita dal Testo in misura proporzionale al bisogno, a condizione che l’uomo non ne divenga vittima e che essa non si volga contro la sua umanità.

La protezione dell’essere umano di cui stiamo parlando e delle regioni del Libano dove egli vive – e noi con lui – sono un impegno morale (’amāna)[۹]  per noi e per chi ricopre incarichi di responsabilità nel Paese. Occorre proteggere tanto il Sud quanto il resto del Paese, e ciò ci è imposto da Dio e dalla nostra Patria. Perciò, è imprescindibile pensare e, poi, realizzare i nostri pensieri con attenzione. Questo perché tanto un pensiero errato quanto un impiego errato di quest’ultimo equivalgono ad un doppio tradimento nei confronti di quell’impegno morale di cui si parlava: un tradimento che conduce direttamente alla corruzione e un altro che porta allo spreco delle opportunità, del denaro pubblico e dei diritti pubblici. Le discriminazioni causano divisioni, qualsiasi sia la loro forma e in qualsiasi modo queste vengano poste.

Il patrimonio umano di questo Libano, il paese dell’uomo e dell’umanità, spicca oggi attraverso il raffronto con il nemico,[۱۰]  quando lo vediamo dare vita a una società razzista che mette in pratica la divisione e la distruzione in ogni suo aspetto: finanziario, culturale, politico e militare, sino al punto di avere la sfrontatezza di falsificare la storia, giudeizzare la Città santa [Gerusalemme] e deturparne I reperti storici.

Quindi, non si deve proteggere la nostra patria solo per Iddio e per la sua popolazione, ma bensì per l’umanità intera, per fare emergere la sua vera immagine, sfidando, con essa, l’altra immagine [quella fasulla del nemico]. Ed eccoci qui, ora, con l’occasione della vita dinnanzi a noi, in un nuovo capitolo della storia del Libano.

O uomini e donne credenti, troviamo allora un punto d’incontro negli esseri umani: sul piano degli esseri umani, di ogni essere umano. Ognuno deve essere, infatti, oggetto delle nostre parole e della nostra azione: quelli di Beirut, quelli del Sud, quelli del Hermel, quelli dell’Akkar e quelli delle periferie della stessa capitale, da Karantina[۱۱] a Hayy El Sullum.[۱۲]  Nessuno è al di fuori di questa occasione, né messo da parte né classificato. Difendiamo, perciò, gli esseri umani del Libano affinché possiamo difendere questo paese, il paese dell’essere umano, pegno della Storia e pegno di Dio.

La Pace e la Misericordia di Dio siano su di voi.

[۱] . Corano, V: 48. La traduzione interpretativa del Corano è tratta, salvo dove diversamente indicato, da Alessandro Bausani, a cura di, Il Corano, Bur, Milano, 2006, X ed. Come in questo caso, per segnalare una scelta lessicale differente (del traduttore, se non diversamente indicato) da quella di Bausani, verrà adottato il corsivo. NdT.

[۲] . Il Messia. NdT.

[۳] . Mā ’āmana bi-Llāhi wa-l-Yawmi l-’Āẖiri man bāta šab‘ānan wa-ǧāruhu ǧā’i‘un. Hadīṯ.

[۴] . Sembra che l’Imam aṣ-Ṣadr faccia qui riferimento alla voce di Gesù. NdT.

[۵] . L’imam si riferisce qui alla Populorum progressio, l’enciclica sociale scritta da papa Paolo VI e pubblicata il 26 marzo 1967. È stata, al empo stesso, una delle più famose e importanti della storia della Chiesa e oggetto di forti critiche, per via del suo orientamento da taluni giudicato eccessivamente anticapitalistico. NdT.

[۶] . Corano: LIII, 39.

[۷] . La definizione di ’īmān (nella Šī‘a imamita/duodecimana, anche se la definizione è molto simile a quella sunnita) è: “Credere nel [proprio] cuore, affermare [questo credo] con la [propria] lingua, agire secondo i suoi [della religione] fondamenti […], credere nell’imamato” (i‘tiqād bi-l-ǧanān wa-’iqrār bi-l-lisān wa-‘amal bi-l-’arkān […], ali‘ tiqād bi-l-’imāma). Cfr. Maḥmūd Ǧābir, Al-Šī‘a. Al-ǧuḏūr wa-l-buḏūr, Markaz al-’Abḥāṯ al-‘Aqā’idiyya, Qom e Najaf, 1430 (dell’Égira), pp. 111, 122. NdT.

[۸] . Qui, probabilmente, si riferisce all’omelia. NdT.

[۹] . La parola araba ’amāna, qui tradotta con “impegno morale”, è il nome verbale del verbo ’amuna “essere fedele, leale, onesto”, e significa “Ciò su cui si dà credito a una persona (fiduciosi che egli lo preservi, per l’appunto, fedelmente, lealmente e onestamente)”. È, insomma, “un pegno”, “un deposito fiduciario” (traduzione che abbiamo preferito per gli altri testi dell’Imām Mūsā aṣ-Ṣadr) e indica, nel linguaggio dell’islam, qualsiasi cosa che Dio (o un altro essere umano) ci ha dato in pegno, istruendoci di averne cura. NdT.

[۱۰] . Israele. NdT.

[۱۱] . Un’area della zona nordorientale di Beirut. NdT.

[۱۲] . Un’area dei sobborghi meridionali di Beirut. NdT.

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